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“Abbiamo il doppio degli abbandoni scolastici, abbiamo meno laureati e diplomati, siamo dietro in italiano, nella matematica e nelle cosiddette discipline dure. La scuola italiana non ha risultati in linea con quelli di altri paesi europei.
Non ci siamo, solo il Trentino fa parlare bene di se.” L’ispettore Domenico Torchia non è tipo che apre bocca per dargli fiato, non usa eufemismi. Lo stimato educatore è il relatore di un frequentato corso di formazione di dieci ore sulla valutazione degli apprendimenti pensato dall’Istituto comprensivo “Corrado Alvaro”, preside Antonio Mazza, per i docenti delle scuole di Petronà, Andali e Cerva. Ha parlato per un’ora e mezzo lunedì scorso e non ha tediato nessuno il responsabile dell’Ufficio scolastico regionale: “ I dati Ocse Pisa non si prestano a confutazioni. Lo dice Lisbona 2000 e lo confermano altre fonti. Come dice Rousseau nell’Emilio, bisogna formare la persona insegnando a vivere, mentre noi pensiamo solo alle discipline, alla trasmissione mnemonica delle conoscenze con scarsi risultati. Non possiamo trascurare la dimensione antropologica di chi apprende. La situazione peggiore è nel nostro meridione dove la scuola è spesso la sola agenzia educativa”. Torchia ha indicato il traguardo ideale che è quello di “formare persone che possano decidere, possano scegliere, possano modificare il mondo, legare il sapere al dubbio”, un traguardo possibile a patto che “si eserciti l’autonomia, differenziando con i laboratori i processi di insegnamento a seconda dei bisogni e delle inclinazioni.” E anche a condizione che si apprenda dai propri errori. Non proprio una prassi tra gli educatori di casa nostra, basti pensare alla denuncia dell’Invalsi che ha ravvisato comportamenti opportunistici di tante scuole calabresi nella somministrazione della terza prova per l’esame di licenza media con esiti da copia carbone. In poche parole: si è copiato.
Torchia si è molto soffermato molto sull’etimologia della parola competenza che sta per “prendere decisioni per se e per gli altri”. Va da sé che “la scuola non può non avere una valenza sociale e civile pensando non solo alle conoscenze, ma anche a come vengono organizzate per formare il cittadino, per formare l’uomo libero”.
Lisbona 2000 ha indicato il discente ideale che dovrebbe avere: competenza corretta in lingua italiana, comunicazione in altre lingue, ampliamento delle competenze nelle discipline dure, competenza informatica, preparazione ad imparare, competenze valoriali e civili, sviluppo spirito imprenditoriale, conoscenza consapevole della molteplicità delle culture.
Condizionale d’obbligo perché la realtà dice che tanti allievi non sanno esprimere quello che pensano e hanno grosse carenze non solo nell’ambito linguistico, ma anche e soprattutto nell’ambito logico-scientifico
Enzo Bubbo
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